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Archivi Mensili: febbraio 2012

Cinque domande a Martina della Valle


 

1. Vivi a Berlino, sei di Firenze. Cosa hai lasciato e cosa hai trovato.
Vivo a Berlino da quasi quattro anni e da quando sono arrivata ormai i pregi e i difetti che vedevo in questa città sono via via un po’ cambiati, con l’approfondirsi della mia esperienza. A firenze non vivo ormai da tanto tempo. Ho fatto il liceo e poi mi sono trasferita a Milano dove sono rimasta quasi nove anni tra studio e lavoro. Le cose che tutt’ora mi sento di aver guadagnato a spostarmi qua sono molte: prima di tutto la vita qua ha ritmi molto più lenti, o comunque è permesso scegliere di averli, nonostante sia una città molto grande e piena di cose da fare e da vedere. Allo stesso tempo a volte mi manca un po’ la spinta produttiva frenetica che avverto ad esempio a Milano appena torno. Fin da quando ho iniziato a conoscere Berlino ho notato che qua lo spazio pubblico ha un grandissimo valore per i cittadini. Si può considerare che quello che è di tutti è anche mio, mentre a volte in Italia mi sembra che gli spazi comuni non possano esser di nessuno. Questo pensiero rende Berlino una città in cui lo spazio è tanto e viene utilizzato in maniera spontanea dalle persone. Questo dà in qualche modo un forte senso di appartenenza e di libertà. In più qua mi pare che la scala dei valori nella vita delle persone abbia priorità diverse che permettono di vivere in maniera forse più semplice ma più serena. Dal punto di vista della mia attività artistica Berlino offre molte facilitazioni rispetto all’italia; esistono molte strutture come laboratori pubblici in cui si può sperimentare e produrre con qualsiasi tipo di materiale e linguaggio, moltissime mostre e musei e spazi aperti e accessibili. Dal mio punto di vista è per il momento un ottimo posto in cui stare per produrre e fare ricerca.

2. Come vedi, da fuori, il sistema dell’arte italiano?
Il sistema dell’arte Italiano da qua appare molto selettivo e ingarbugliato. Spesso non si capiscono bene le logiche che muovono le cose, e sembra che ci siano circuiti molto chiusi che si muovono separatamente. Il non essere fisicamente più presente in Italia, vivendo fuori, rende più difficile il mantenere i contatti, ma apre dall’altra parte nuove possibilità.

3. Vivere in Germania sta influenzando la tua ricerca artistica?
Non direi che la mia ricerca sia cambiata stando qua. I temi e le pratiche sono rimaste le mie  ma ovviamente alcuni degli spunti dei miei ultimi lavori hanno a che fare con Berlino (vedi la serie FRAMED MEMORIES che è nata da un archivio fotografico privato berlinese, o ad esempio l’installazione URBAN IMPRESSION che ho realizzato qua per l’Ambasciata Italiana)  

4. A cosa stai lavorando attualmente?
In questo momento sto lavorando a un progetto site-specific per la fiera di Roma, al materiale per un paio di concorsi, al lavoro per una collettiva sull’autoritratto al MACRO a giugno…

5. Tre keywords per definire l’arte oggi.
Non saprei credo che l’arte come pratica o sistema sia molto complessa da descrivere. Direi quindi sicuramente COMPLESSA per iniziare…

Martina della Valle, 1981. Vive e lavora tra Milano, Firenze e Berlino.
Il tema della memoria, nelle sue diverse accezioni, è costantemente presente nel suo lavoro.

http://martinadellavalle.blogspot.com/ 

pics from TIME DUST – METRONOM © Martina Della Valle

courtesy Marco Signorini Photoblog

 

Tre domande a Marco Signorini


Inaugura sabato 18 febbraio alle 18.30 la mostra OPENSTUDIO, che propone una selezione di giovani autori provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Brera e dall’Accademia di Bologna. Ne parliamo con Marco Signorini, docente a Brera e selezionatore, insieme a Walter Guadagnini, della collettiva.

METRONOM: Rigoroso bianco e nero  ma anche fotografia a metà tra collage e installazione, nel mezzo un ampio ventaglio di tecniche, è stata una scelta oppure è effettivamente così variegato il modo degli studenti di confrontarsi con il dato tecnico della fotografia?

Marco Signorini: Direi che le modalità con le quali gli studenti si confrontano con la tecnica fotografica sono le più svariate, questo è vero. C’è un mix interessante fra analogico e digitale, bianco e nero e colore, moda e reportage. L’impressione è che la fotografia, come siamo stati abituati a pensarla, non possa più catalogarsi in categorie di genere, l’una attraversa l’altra. Tener conto di questo atteggiamento “aperto” è importante, credo faccia parte di una visione del mondo più libera dagli schemi, sia tecnici che linguistici. Non solo, credo sia anche portare totalmente la fotografia in un ambito artistico più generalizzato.

M: Le opere lasciano trasparire la tendenza all’espressione di una sensibilità individuale e di un proprio immaginario, nessuna traccia di temi “sociali” o “politici”, lo attribuisci alla giovane età e quindi alla voglia di esprimersi più che di confrontarsi?

MS: La risposta a questa domanda si ricollega in parte alla precedente, credo sia cambiato l’atteggiamento, che l’analisi del mondo circostante, da parte dei giovani, nasca da altri presupposti. Uno di questi è la messa in scena, oppure l’inserimento di se stessi all’interno delle loro selezioni, oppure l’aderire a poetiche trasversali che esprimono un certo modo di fare fotografia. Questo mette in discussione anche l’aspetto fortemente autoriale delle immagini prodotte, tanto che, navigando ad esempio su Flickr, poi avvertire più forte il fenomeno estetico così diffuso, più che distinguere i singoli autori che lo alimentano. In realtà, trovo tutto a suo modo impegnato, ma di difficile catalogazione.

M: Si registra una grande varietà di corsi, workshop e anche master dedicati all’immagine, c’è quindi molta richiesta di “formazione” specifica anche extra accademica, a tuo parere che cosa rende a tutt’oggi importante una formazione nelle Accademie di Belle Arti?

MS: Per quanto mi riguarda considero ancora importante un insegnamento istituzionale di valore, come potrebbe esserlo quello trasmesso nelle accademie nazionali.
Il fatto che non ci sia credibilità in queste istituzioni, con i relativi problemi di qualità dell’istruzione, sia in termini di docenza e di adeguati spazi attrezzati disponibili, è un fatto molto grave. Cosiderando poi, che c’è molta richiesta di formazione artistica, trovo questa disattenzione istituzionale paradossale in un paese come il nostro, che potrebbe trarre buoni profitti dalla cultura dell’arte e da un patrimonio artistico senza eguali.

OPEN STUDIO


Inaugura sabato 18 febbraio 2012 alle 18.30 OPENSTUDIO, mostra collettiva che riunisce opere fotografiche di Giulia Azzalini, Alessio Iacovone, Tiziano Rossano Mainieri, Simone Morciano, Luca Nicolini e Valentina Sala Peup.

Per l’occasione, negli spazi di METRONOM, saranno esposte le opere di sei giovani fotografi selezionati da Walter Guadagnini e Marco Signorini. Un percorso che parte dall’Accademia di Brera e arriva all’Accademia di Bologna, per scoprire le spinte più fresche della fotografia contemporanea.

OPENSTUDIO propone un percorso composto da fotografie naturalistiche in bianco e nero, scatti fotografici realizzati all!interno di ambienti domestici e luoghi dove architettura e paesaggio si incontrano armoniosamente, passando per ritratti e sperimentazioni più audaci, caratterizzate dall’utilizzo di tecniche e codici differenti.

La mostra, realizzata con il Patrocinio del Comune di Modena, nasce con l’intento di proporre una lettura di possibili nuovi scenari per la giovane fotografia italiana e sarà visitabile fino al prossimo 31 marzo 2012.

Giulia Azzalini (Torino, 1988) presenta Light Boxes, un progetto che nasce da una suggestione letteraria e che fa riferimento al titolo del romanzo primo di Shane Jones. Per tre stagioni l’artista ha fotografato la luce nel tentativo di appropriarsi ogni giorno dell’essenza della vita, sperimentando sul proprio corpo come la luce, intesa come elemento essenziale della fotografia, possa creare delle vere e proprie trasfigurazioni.

Casting the spell è una serie costituita da undici elementi che Alessio Iacovone (Sulmona, 1988) ha realizzato utilizzando diverse modalità espressive: la fotografia si mescola al disegno e all’utilizzo di elementi materici ed evocativi come petali di fiori essiccati, ali di farfalla, ossi. Una riflessione che prende spunto da un trattato di alchimia di Paracelso e analizza un percorso di evoluzione spirituale che, attraverso la sofferenza e l’espiazione, arriva alla consapevolezza di sé e alla beatitudine o sublimazione della materia.

Tiziano Rossano Mainieri (Bologna, 1982) concentra il suo lavoro sulla fotografia paesaggistica. La serie Radici è una raccolta di gli scatti di un bianco e nero dove domina il tema della natura, la rappresentazione di un mondo che sta oltre la semplice percezione.

Le fotografie di Simone Morciano (Verona, 1983) fanno parte di un ampio progetto per il quale l’artista ha fotografato gli stessi luoghi in giorni, orari e condizioni metereologiche differenti. Fotografie che nascono come esercizi di osservazione e divengono veri e propri tentativi di riscoperta della realtà, una sorta di presa di coscienza del territorio circostante.

Luca Nicolini (Rovereto, 1985) presenta Ultimo Giorno di Luce, un soggetto che si basa sulla rielaborazione in chiave evocativa dei concetti di luce e di tempo, intesi come elementi propri dello specifico fotografico. La fotografia diviene un modo per tradurre il pensiero in immagini: le persone, riprese in maniera sfuggevole e indefinita, si dissolvono in un tentativo di riflessione sulla fugacità dell’esistenza.

Il progetto di Valentina Sala Peup (Monza, 1988) dal titolo Saudade nasce sottoforma di libro ed è composto fotografie accompagnate da due scritti tratti dal film “il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Il termine Saudade, in portoghese, fa riferimento ad un singolare stato emotivo che l’artista cerca di catturare nell’immagine fotografica.

Sede: METRONOM | viale G. Amendola, 142 Modena
tel/fax +39 059 344692 | info@metronom.it | www.metronom.it
Orari: da martedì a sabato 15.00 / 19.00 e su appuntamento

La fotografia è una falsificazione infida e perversa.


… la fotografia è una falsificazione infida e perversa, ogni fotografia, chiunque la scatti e chiunque essa ritragga, è un oltraggio assoluto alla dignità umana, una mostruosa falsificazione della natura, un atto meschino e disumano. (…)

Disprezzo quelli che fotografano di continuo e girano tutto il tempo con la macchina fotografica appesa al collo. Sono di continuo alla ricerca di un soggetto e fotografano tutto, anche le cose più insensate. Non hanno altro in testa, di continuo, se non esibire se stessi e sempre nella maniera più ripugnante, senza esserne consapevoli. Nelle loro foto catturano un mondo perversamente deformato, che col mondo vero non ha niente in comune se non la perversa deformazione di cui si sono resi colpevoli. Fotografare è una mania meschina da cui è contagiato a poco a poco l’intero genere umano, perché della deformazione e della perversità è non solo innamorato, ma addirittura pazzo e col tempo, a forza di fotografare, scambia in effetti il mondo deformato e perverso per l’unico vero. Quelli che fotografano commettono uno dei crimini più meschini che si possano commettere, perché nelle loro fotografie trasformano la natura in uno spettacolo perverso e grottesco. Nelle loro fotografie le persone sono marionette ridicole, stravolte, anzi storpiate fino a diventare irriconoscibili, che ottuse e disgustose, fissano spaventate il loro ignobile obiettivo. Fotografare è una passione abbietta da cui sono contagiati tutti i continenti e tutti gli strati sociali, una malattia da cui è colpita l’intera umanità  e da cui non potrà mai essere guarita. (…)

L’inventore dell’arte fotografia è l’inventore della più disumana di tutte le arti. A lui dobbiamo la definitiva deformazione della natura e dell’uomo che in essa vive, ridotti alla smorfia perversa dell’una e dell’altro. Non ho mai visto in una fotografia una persona naturale, ossia vera e reale, come non ho mai visto in una fotografia una natura vera e reale. La fotografia è la più grande sciagura del ventesimo secolo. Guardare fotografie mi ha sempre nauseato, più di ogni altra cosa. Ma… dietro la perversità e la deformazione esse mostrano tuttavia, quanto più le osservo, la verità e la realtà delle persone per così dire fotografate, perché a me non interessano le foto. E quelli che vi sono raffigurati non li vedo come li mostra la foto nella sua meschina deformazione e perversità, ma come li vedo io.

 

Thomas Bernhard, Estinzione, Adelphi, Milano 1996