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Archivi Mensili: dicembre 2013

Un utile arbitro della realtà


Comprensibilmente la fotografia, con il suo sistema meccanico, è stata considerata un utile arbitro della realtà. Ha incoraggiato lo studio di eventi discreti e ha offerto i mezzi per collegarsi tra loro in uno schema coeso (per esempio nella psicoanalisi, nella sorveglianza, nel giornalismo, negli album di famiglia). Lo scultore Rodin affermava che «l’artista dice la verità e la fotografia mente, perché nella realtà il tempo non si ferma», ma l’arrestarsi del tempo e l’atto di incapsulare una scena in un comodo rettangolo offrivano un’amplificazione chiara e un contrappunto al ricordo umano. Quanto meno era un’utile illusione.

Fred Ritchin, Dopo la fotografia, Torino, Einaudi 2012

 

Senza titolo

 

 

 

 

 

 

Linda Fregni Nagler, The Hidden Mother, London, Mack 2013

La categoria dei capolavori


 Il denominatore comune fra gli oggetti classificati sotto l’appellativo “opera d’arte” risiede nella loro facoltà di produrre un senso dell’esistenza umana (indicare possibili percorsi) in seno a quel caos che è la realtà. In nome di questa definizione l’arte contemporanea – tutta- viene oggi denigrata, generalmente da coloro che vedono nel concetto di “senso” una nozione preesistente all’azione umana. Una  pila di fogli non potrebbe rientrare nella categoria dei capolavori, poiché considerano il senso come un’entità prestabilita, che va oltre gli scambi sociali e le costruzioni collettive. Non si rendono conto che l’universo non è nient’altro che un caos al quale gli uomini oppongono il verbo e le forme. Vorrebbero un senso bell’e pronto (e la sua morale trascendente), un’origine che si facesse garante di questo senso (un ordine da ritrovare) e regole codificate (la pittura, subito!)

Nicolas Bourriaud, Estetica relazionale, Milano, Postmedia 2010

 

Senza titolo

 

 

 

 

 

 

 

©Adam Broomberg & Olivier Chanarin, I.D. 22, The Polaroid Revolutionary Workers, 2013

La scienza della materia


L’unità di materia, il più piccolo elemento del labirinto, è la piega, non il punto che non è mai una parte, ma una semplice estremità della linea. Proprio per questo le parti della materia sono masse o aggregati, correlati dalla forza elastica compressiva. La spiegatura non è dunque il contrario della piega, ma segue la piega fino al formarsi di un’altra piega. «Particelle volte in pieghe» che «una tensione contraria sottopone a sempre nuovi mutamenti». Pieghe dei venti, delle acque, del fuoco e della terra, e pieghe sotterranee dei filoni nella miniera. Le piegature solide della «geografia naturale» rinviano dapprima all’azione del fuoco, poi a quella delle acque e dei venti sulla terra, in un sistema di interazioni complesse; e i filoni minerari sono simili alle curvature delle sezioni coniche, ora finendo in cerchio o in ellisse, ora prolungandosi in iperbole o parabola. La scienza della materia prende a modello l’«origami», direbbe il filosofo giapponese, ossia l’arte di piegare la carta.

Gilles Deleuze, La piega, Torino, Einaudi 1990

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© Martina della Valle, Under the Sun of Onomichi, 2009

Certe malattie stagionali


Le mode sono come certe malattie stagionali: si diffondono in modo epidemico e non sempre sono a decorso benigno.
Nel campo della fotografia sicuri sintomi di contagio sono:

le piscine
(costituiscono un segno particolarmente funesto
se vengono inquadrati solo i particolari
o un nuotatore sotto il pelo dell’acqua)
i travestiti
le bambine in atmosfere sfocate
le camere da letto della Basilicata
o di Harlem
le donne incinte
le donne nude
le donne dipinte
il teatro
il teatro per le strade
gli obitori
le foto con i colori drogati

Franco Vaccari in Olivo Barbieri, catalogo della mostra, Rimini, Galleria dell’Immagine, 1983

Corrispondenze


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Il ritratto di città


Tra i modelli visivi che la cultura fotografica ha ereditato dalla tradizione, il ritratto di città rimane uno dei più controversi. Se ritraendo persone o paesaggi i fotografi ottocenteschi ebbero modo di perpetuare, con adattamenti relativamente minori, schemi e linguaggi ampiamente consolidati nella tradizione pittorica, percorrendo i centri urbani moderni si ritrovarono ad affrontare il paradosso di un soggetto che andava perdendo la propria fisionomia nel momento stesso in cui veniva scoperto. Per alcuni decenni, vedute e panorami  consentirono di trattenere l’immagine della città derivata dalla tradizione medievale dei topografi e degli artisti, ai quali si deve l’invenzione del genere: un organismo fisicamente compatto, organicamente inserito nella geografia circostante e strutturato attorno ai simboli classici dell’autorità.

Antonello Frongia, Il luogo e la scena: la città come testo fotografico, in Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, a cura di Roberta Valtorta, Torino, Einaudi 2013

 

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©Lorenzo Vitturi, Dalston Anatomy, 2013