Fino alla scorsa settimana la parola MIA era solo un bisbiglio. Da mesi, sottovoce e a mezza bocca nel piccolissimo mondo della fotografia italiana ci si interrogava, vado o non vado? Ci vai o non ci vai? La fiera si è chiusa ieri sera alle 20, dopo quattro giornate che hanno dato tempo a scettici e coraggiosi di confrontarsi con quello che, in ogni caso, è stato un appuntamento “democratico” con la fotografia.
Si è già scritto di come l’atteggiamento da “circolo”di autori e attori, improntato a protezionismo e alle volte, ad una certa dose di snobismo, non aiuti la divulgazione e la diffusione di una cultura dell’immagine; in questo caso si è assistito a una manifestazione che, nelle intenzioni, mirava a colmare la distanza, la mancanza di contatto tra autore e pubblico.
Formula senz’altro ambiziosa quella ideata da Fabio Castelli e portata avanti dal comitato: stand monografici e la presenza dell’artista nello stand, pronto a rispondere alle domande di interessati e curiosi.
Lo spazio di METRONOM
L’edizione numero zero ha dimostrato la precarietà del regime misto: autori accompagnati da gallerie e autori da candidatura spontanea, accolti senza un criterio limpido, la dicitura “proposta MIA” non chiarisce esattamente la tipologia di proposta…
Gli autori si sono mediamente concessi di buon grado alla maratona fieristica (11 le ore di apertura al giorno ) anche se il pensiero di prestarsi al mercato non sempre è stato gradito, vendere va bene ma a patto che lo facciano i galleristi. L’impressione generale è che ci sia stata poca voglia di osare (ma quando mai in una fiera c’è del coraggio in termini di scelte espositive?) ma il buon successo di pubblico ha confortato partecipanti e non.
E il mercato? Mah… forse ha bisogno di qualche garanzia in più, collezionisti giravano e sono stati ben avvistati negli stand delle gallerie più affermate; nei corridoi si sono però sentite ancora voci che gridano alla “certificazione” e ai rischi della “riproducibilità” che rendono il collezionismo fotografico poco garantito, storie conosciute e anche un po’ trite, che però si fatica a sradicare nel pubblico.
Forse più che tavole rotonde sul passato, presente o futuro della fotografia, avrebbe giovato offrire al pubblico qualche servizio di visita “guidata” tra i padiglioni, condotta, perché no, da “storici” e “critici” della fotografia, sempre pronti a salire sul tavolo dei relatori ma a volte meno a “sporcarsi le mani” con il mercato.