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L’utopia del villaggio


Per cominciare saremmo stati compagni di scuola del postino.
Sapremmo che il miele del maestro è più buono di quello del capostazione (no, non ci sarebbe più un capostazione, ma solo un casellante: da molti anni oramai i treni non fermerebbero più, una linea di autobus li avrebbe sostituiti, ma ci sarebbe ancora un passaggio a livello non ancora automatizzato).
Sapremmo se minaccia di piovere guardando la forma delle nuvole sopra la collina, conosceremmo i posti dove ci sono ancora i gamberi, ci ricorderemmo dell’epoca in cui il meccanico ferrava i cavalli (esagerare un po’, fino ad avere quasi voglia di crederci, non troppo però…) .
Naturalmente conosceremmo tutto di tutti. Tutti i mercoledì il salumiere di Dampierre strombazzerebbe davanti a casa per portarci le salsicce. Tutti i lunedì la signora Blaise verrebbe a fare il bucato.
Andremmo coi bambini a cogliere le more lungo i viottoli di campagna; li accompagneremmo per funghi; li manderemo a cercare lumache.
Staremo attenti al passaggio della corriera delle sette. Ci piacerebbe sedere sulla panchina del paese, sotto l’olmo centenario, di fronte alla chiesa.
Andremmo per i campi con le scarpe alte e un bastone a punta ferrata con l’aiuto del quale decapiteremmo le malerbe.
Giocheremmo a carte con la guardia campestre.
Andremmo a far legna nel bosco comunale.
Sapremmo riconoscere gli uccelli dal loro canto.
Conosceremmo tutti gli alberi del nostro frutteto.
Aspetteremmo il ritorno delle stagioni.

G. Perec in Specie di Spazi, Bollati Boringheri, Torino 1989

pereck

 

 

 

 

 

 

 

Andrea Botto, KA-BOOM, serie

Occhi per vedere


Ci serviamo degli occhi per vedere. Il nostro campo visivo ci svela uno spazio limitato: qualcosa di vagamente rotondo che si ferma rapidamente a sinistra e a destra e non scende né sale molto in alto. Storcendo gli occhi, riusciamo a vederci la punta del naso; alzando gli occhi, vediamo che c’è l’alto, abbassando gli occhi vediamo che c’è il basso; girando la testa, in una direzione, poi nell’altra, non riusciamo neppure a vedere tutto quello che c’è intorno a noi; bisogna ruotare il corpo per vedere bene che cosa ci sia dietro.

Il nostro sguardo percorre lo spazio e ci dà l’illusione del rilievo e della distanza. E’ proprio così che costruiamo lo spazio: con un alto e con un basso, una sinistra e una destra, un davanti e un dietro, un vicino e un lontano.

Quando niente arresta il nostro sguardo, il nostro sguardo va molto lontano. Ma, se non incontra niente, non vede niente; non vede che quel che incontra: lo spazio è ciò che arresta lo sguardo, ciò su cui inciampa la vista: l’ostacolo: dei mattoni, un angolo, un punto di fuga: lo spazio è quando c’è un angolo, quanto c’è un arresto, quando bisogna girare perché si ricominci. Non ha nulla di ectoplasmatico, lo spazio; ha dei bordi, lo spazio, non corre in tutti i sensi: fa di tutto affinché le rotaie delle ferrovie si incontrino ben prima dell’infinito.

G. Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989

 

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M. Signorini, ((Ra)), 2008

Mi ricordo.


Mi ricordo i primi < flipper > : per l’appunto, non avevano flipper.

George Perec in Mi ricordo, Bollati Boringhieri, Torino 1988

 

OLIVO-IPAD

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Olivo Barbieri | Serie Flippers Tav 49, 1977-78