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Archivi Mensili: dicembre 2015

Ironiche perversità


Per una delle perversità ironiche che spesso affliggono il corso delle cose, l’esistenza delle opere d’arte da cui dipende la formazione di una teoria estetica è diventata un ostacolo per la teoria che le concerne. Uno dei motivi di ciò è che queste opere sono prodotti che esistono esternamente e fisicamente. Nel modo comune di vedere, l’opera d’arte viene identificata spesso con l’edificio, il libro, il dipinto o la statua nel loro esistere separati dall’esperienza umana. Visto che l’opera d’arte vera e propria è ciò che il prodotto fa della e nella esperienza, tale conclusione non agevola la comprensione. Inoltre la stessa perfezione di alcuni di questi prodotti, il prestigio che essi possiedono grazie a una lunga storia di ammirazione indiscussa, crea convenzioni che ostruiscono la strada per una analisi senza pregiudizi. Appena un prodotto dell’arte consegue lo status di classico, appare in qualche modo isolato dalle condizioni umane sotto le quali è stato generato e dalle conseguenze umane che esso determina nell’esperienza effettiva della vita.

 

John Dewey, Arte come esperienza, Palermo, Aesthetica edizioni, 2007

 

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©Matthew Barney, Her Giant,Cremaster Cycle, 1997

 

 

la morte dell’arte


Non è vero, dunque, che l’arte sarebbe «morta». È vero invece che essa non ha più per noi moderni la natura dell’esperienza per eccellenza veritativa che ebbe nell’antichità greca. E che la sopravvivenza dell’arte è ormai indissociabile da un atteggiamento riflessivo, da una perdita secca di immediatezza, che coinvolge l’autoconsapevolezza dell’artista e la competenza del pubblico e inoltre lascia tracce determinanti nell’opera stessa, ne regola riflessivamente il medesimo funzionamento simbolico. Qualcosa come un «mondo dell’arte», separato dal mondo della vita e dai suoi valori spirituali decisivi, si sarebbe dunque costituito per noi moderni, ed è in quest’ambito che le opere sono divenute non solo comprensibili e importanti, ma anche oggetto di apprezzamento specifico, di studi specialistici e di interessi (critici, museali, mercantili) particolari.

Pietro Montani, L’immaginazione intermediale, Bari, Laterza 2010

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©Jon Rafman, New Age Demanded (Zigzagman Lichtenstein), 2012

Come ogni artista autentico


Come ogni artista autentico, Franco Vaccari è dominato da un’idea, da un’ossessione originaria che presiede ai suoi interventi: se si arriva a capirla, riesce poi facile trovare il filo logico per seguire anche quelli, nonostante un trasformismo incessante che li porta a presentarsi in panni via via mutati, senza arrivare mai a depositarsi in un modulo fisso e ripetitivo, come invece succede in tanti altri casi. Quest’idea ossessiva originaria si può esprimere così: oggi viviamo in un flusso di notizie, avvenimenti, immagini che rischia di divenire invisibile, inudibile, inafferrabile per il suo stesso eccesso, per troppa presenza e flagranza. Si tratta allora di produrre degli sfoltimenti, in quel “tutto pieno”, ma in modo tale da non tradirlo, anzi, da consentirgli un grado adeguato di rivelazione.

Renato Barilli, Franco Vaccari, Opere: 1966- 1986 in Feedback, Scritti su e di Franco Vaccari, a cura di Nicoletta Leonardi, Milano, Postmedia 2007

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©Giorgio di Noto, The Iceberg, 2015