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Il passato ci condiziona


Il passato ci condiziona, ci sta addosso, ci ricatta. L’avanguardia storica (come modello di modernismo) aveva cercato di regolare i conti con il passato. Al grido di «Abbasso il chiaro di luna» aveva distrutto il passato, lo aveva sfigurato: le Demoiselles d’Avignon erano state il gesto tipico dell’avanguardia. Poi l’avanguardia era andata oltre, dopo aver distrutto la figura l’aveva annullata, era arrivata all’astratto, all’informale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata, in architettura alla condizione minima del curtain wall , all’edificio come stele, parallelepipedo puro, in letteratura alla distruzione del flusso del discorso, sino al collage e infine alla pagina bianca, in musica al passaggio dall’atonalità al rumore, prima, e al silenzio assoluto poi. Ma era arrivato il momento in cui il moderno non poteva andare oltre, perché si era ridotto al metalinguaggio che parlava dei suoi testi impossibili (l’arte concettuale). La risposta postmoderna al moderno è consistita nel riconoscere che il passato, visto che la sua distruzione portava al silenzio, doveva essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente.

Umberto Eco, Di un realismo negativo, in Bentornata realtà, a cura di Mario De Caro e Maurizio Ferraris, Torino, Einaudi 2012

Senza titolo

 

 

 

 

 

 

©Luigi Presicce, Annunciazione di Pitagora agli acusmatici, 2010. Performance per due spettatori, cave d’argilla, Marti (PI). Foto: Jacopo Menzani

Cosa rende una fotografia simile a una immagine speculare?


Cosa rende una fotografia simile a una immagine speculare? Una assunzione pragmatica per cui la camera oscura dovrebbe dire la verità quanto lo specchio, e in ogni caso attestare la presenza di un oggetto impressore (presente nel caso dello specchio, passato nel caso della fotografia).
La differenza è che la lastra impressionata costituisce appunto una impronta o una traccia. Una traccia ha alcune caratteristiche diverse dall’immagine speculare, anche trascurando i rapporti di rovesciamento, sulla lastra, di ri-rovesciamento, sulla foto stampata, di restituzione della simmetria inversa, ovvero di effettivo ribaltamento di quella simmetria congruente che caratterizzava l’immagine speculare. Ciò che interessa è che la lastra traduca i raggi luminosi in altra materia. Ciò che percepiamo non sono più i raggi luminosi, ma rapporti di intensità allo stato puro, e rapporti di pigmentazione. C’è stata quindi una proiezione da materia a materia. Il canale perde di consistenza, la foto può essere ritradotta su materie diverse, i rapporti rimangono inalterati. L’immagine non è così libera dal canale come l’alfabeto Morse lo è dal materiale in cui i suoi segnali-tipo possono essere realizzati, ma c’è un principio di liberazione.

U. Eco in Sugli specchi, Bompiani, Milano 1985

Creatività


Proporre un metodo per diventare creativi non sembra diverso dall’ordine di disobbedire all’ingiunzione di essere naturali. E proprio quando ti dicono di essere naturale incominciano le palpitazioni, le orticarie e i sorrisi tirati (ti verrebbe voglia di dire che no, che tu sei artificiale), così alla ingiunzione del creare vien voglia di opporre una resistenza passiva: io no, non creo, neanche sotto tortura. Mi è capitato di leggere il sito di un tizio che se la prendeva con la scuola, dicendo che frustra la creatività. […] Il bello è che il tizio che se la prendeva con la scuola ne aveva aperta una a sua volta. No, non ci siamo, la via è un’altra. Per diventare creativi bisogna fare il contrario di quello che consigliava quel tizio; bisogna copiare, copiare e ancora copiare. Quando tutto quello che abbiamo copiato ci uscirà dagli occhi, quando ogni verso, ogni nota, ogni disegno ci sembrerà una citazione, ecco che saremo dei creatori o (almeno) non dei ripetitori. Questo non vale solo nell’arte, ma anche nella vita, dove (fateci caso) il più delle volte i principianti ripetono schemi già visti, proprio come gli autori inesperti adoperano frasi fatte. Il punto è molto semplice, e l’ha enunciato una volta Umberto Eco: si sbaglia ad associare il genio alla sregolatezza; il genio non ha meno regole degli altri, ne ha molte di più.

M. Ferraris in Filosofia per dame, pp. 47-48, Guanda, Parma 2011