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Archivi Categorie: Fotografia

molti fotografi professionisti


Il fatto che molti fotografi professionisti affermino di fare ben altro che una mera registrazione della realtà è il più evidente indice dell’enorme influenza che la pittura ha, a sua volta, avuto sulla fotografia. Ma per quanto i fotografi siano arrivati a condividere, in parte, i medesimi atteggiamenti sul valore intrinseco della percezione, esercitata come fine a se stessa, e sulla (relativa) non importanza del soggetto, che hanno dominato per oltre un secolo la pittura più avanzata, le loro applicazioni di questi atteggiamenti non possono essere eguali a quelle dei pittori. È infatti nella natura di una fotografia l’impossibilità di trascendere del tutto il soggetto, come invece può fare un quadro. E non può neanche andare oltre il visuale, cosa che in un certo senso è l’obiettivo supremo della pittura modernista.

Susan Sontag, L’eroismo della visione, in Sulla fotografia, Torino, Einaudi 2004

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©Nobuyoshi Araki, Paradise, courtesy Shiseido

come l’automobile


Come l’automobile, la fotografia ha creato nuove realtà. In parte la difficoltà di distinguerle è dovuta al fatto che molti di noi, anche in mancanza di macchina fotografica, visualizzano il mondo come una fotografia.

«La mia visione del mondo era una visione fotografica, come ritengo sia più o meno per tutti, non crede? – affermò lo scultore Alberto Giacometti oltre quarant’anni fa. – Non vediamo mai le cose, le vediamo sempre attraverso uno schermo».

Fred Ritchin, Dopo la fotografia, Torino, Einaudi 2012

 

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©Thomas Mailaender, Cathedral Cars, 2004

aver visto tutte le foto


Non posso certo dire di aver visto tutte le foto. Non dico i notturni più importanti o celebri nella storia della fotografia. Neanche tutte le fotografie pubblicate di Olivo Barbieri. Né, come almeno la mia golosità desidererebbe, tutti i provini di queste sue notti. Ignaro, casuale, e solo pieno di passioni verso questo o quello, verso un libro o una esposizione (fin troppo naturalmente prediligo foto cieche o fatte da ciechi), conosco con eccessiva evidenza l’angoscia della fuga di immagini. Già un solo film (anche il più brutto dei filmetti porno) è per me un abisso di immagini, un insieme che non posso fisicamente percepire nei suoi tratti -fotogrammi per quanto io sappia che esistono, a differenza che nel (detto) vivere dove solo ne avverto le miriadi di salti, i punti di frattura e di passaggio insieme.

Enrico Ghezzi, A fuoco la notte? in Olivo Barbieri, Illuminazioni artificiali, Federico Motta, Milano 1995

 

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©Olivo Barbieri, Milano, Italy, 1989

La mia idea


La mia idea è che uno degli effetti tendenziali delle nuove tecnologie della visione sia quello di progettare (alla lettera: di proiettare, di metterci davanti agli occhi) un mondo indifferente. Un mondo che avrebbe ridotto, o addirittura perso, il requisito dell’alterità, su cui ho richiamato ripetutamente l’attenzione. Un mondo che, sempre più ampiamente e capillarmente assimilabile al suo simulacro riproducibile (sempre più dipendente da un afferramento intuitivo amministrato dalla tecnica), non riuscirebbe più a farsi sentire nella sua differenza e ci renderebbe pertanto indifferenti nei confronti della referenzialità dell’immagine, che tuttavia non verrebbe in alcun modo sospesa.

Pietro Montani, L’immaginazione intermediale, Bari, Laterza 2010

 

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©Sebastian Stadler, L’apparition, 2015

 

 

L’arte vera


L’arte vera non ha mai, né mai dovrebbe, rappresentato ma presentato. L’arte è basata sulla realtà, ma vive indipendentemente da essa, senza guardare al trampolino dal quale si lancia nell’oceano dell’Essere. L’arte vera è Essere; e con Jehova dell’Antico Testamento dovrebbe rispondere, se richiesta cos’è: «Io sono Colui che è».

Bernard Berenson, Piero della Francesca. O dell’arte non eloquente, Milano, Abscondita 2007

 

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©Nino Migliori, Il tuffatore, 1951

Le risorse dell’artista


Le risorse dell’artista – modi di riferimento, letterali e non letterali, denotazioni e non denotazioni, realizzati ricorrendo ai mezzi più diversi – appaiono molto più gravide di conseguenze di quelle dello scienziato. Ma supporre che la scienza sia piattamente e pedestremente linguistica, letterale e denotazionale vorrebbe dire non tenere conto, ad esempio, di aspetti quali l’uso frequente di strumenti analogici, della metafora implicita nella misurazione quando uno schema numerico viene applicato a un nuovo campo, o del vocabolario corrente della fisica e dell’astronomia, in cui si parla di attrazione, di singolarità e di buchi neri. Anche se il prodotto ultimo della scienza è, a differenza di quello dell’arte, una teoria letterale, verbale, matematica, denotazione, la scienza e l’arte procedono di pari passo nella loro ricerca e nella loro costruzione.

Nelson Goodman, Vedere e costruire il mondo, Bari, Laterza 2008

 

Paper III _ Sinigaglia

 

 

 

 

 

 

 

 

©Alberto Sinigaglia, Paper III, 2012

Nell’ambiente digitale


Proprio come il romanzo, la poesia e il mémoire hanno esplorato le permutazioni della memoria, anche la fotografia digitale evoca un passato più complesso. Anziché da punto di riferimento unico e indiscutibile, ritenuto più vero del ricordo umano, può fungere da elemento in una rete di altre immagini, suoni e testi che la sostengono o la contraddicono, un menu di possibili interpretazioni, un paesaggio onirico malleabile, una calamita per la memoria. Nell’ambiente digitale è facile linkare una fotografia ai titoli dei quotidiani del giorno, locali o internazionali, alle previsioni del tempo, ai diari e alle agende di appuntamenti, alle foto e ai testi scritti da altri membri della propria famiglia o da chiunque altro.

Fred Ritchin, Dopo la fotografia, Torino, Einaudi 2012

 

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©Geert Goiris, Albino, 2003

seconda metà del Novecento


Uno degli aspetti peculiari della cultura artistica europea della seconda metà del Novecento è il continuo ritorno alla riflessione sui temi della storia e della memoria personale e collettiva. La necessità di fare i conti con l’esperienza del totalitarismo, della repressione, dell’olocausto, con una guerra combattuta principalmente sul territorio europeo, e successivamente con il duro periodo del dopoguerra, porta gli artisti a non abbandonare mai del tutto l’idea che l’esperienza possa esistere anche come fenomeno non mediato e radicato della realtà, e ad utilizzare la memoria e l’autobiografia come strumenti di resistenza alla de-soggettivazione e all’omogeneizzazione prodotte dalla società dello spettacolo.

 

Nicoletta Leonardi, Fotografia e immaterialità in Italia, Milano, Postmedia 2013

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©Sophie Calle, Today my mother died, 2013, from the series Les Autobiographies

 

Una scuola


Uno scrittore diventato famoso e tradotto anche all’estero aveva aperto una scuola. «Se non si soffre» diceva agli allievi, «non si diventa scrittori». Perciò d’accordo con loro li malmenava. Distribuiva schiaffi continuamente o noci in testa, poi diceva: «Va’ a scriverlo!» Gli allievi lo andavano a scrivere: «Oggi ho preso due noci, oggi ho preso uno schiaffo, mi rintrona ancora la testa». Poi glielo facevano leggere. «Non basta» diceva, e si metteva a distribuirne degli altri. «Scrivete!» diceva «scrivete!» e li inseguiva su per le scale con una bacchetta. Se ne prendeva uno lo trascinava per un orecchio dicendo: «Hai scritto?» e gli bacchettava le dita finché l’allievo gridava: «Ho scritto, ho scritto!» e gli faceva vedere un misero foglio che lui non guardava neanche. «Questo sarebbe uno scritto?» diceva, e gli continuava a tirare l’orecchio o il naso perché gli altri sentissero e vivessero nella sofferenza e nella paura, che per uno scrittore è indispensabile.

Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili, Parma, Guanda 2010

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©Susanna Majuri, Saviour, 2008

Il dispositivo digitale


Il dispositivo digitale non è immateriale, ma si fonda su una obliterazione della propria materialità: lo schermo “fa schermo” a se stesso, nasconde la pagina supporto – la materia – nella pagina-scrittura, questa, sì, divenuta immateriale o, piuttosto, spettrale, se lo spettro è qualcosa che ha perduto il suo corpo, ma ne conserva in qualche modo la forma. E coloro che usano questo dispositivo sono lettori o scrittori che hanno dovuto rinunciare, senza accorgersene, all’esperienza – angosciosa e, insieme, feconda – della pagina bianca, di quella tavoletta per scrivere su cui nulla è ancora scritto, che Aristotele paragonava alla pura potenza del pensiero.

Giorgio Agamben, Il fuoco e il racconto, Roma, Nottetempo 2014

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©Erik Kessels, 24 HRS IN PHOTO