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Archivi delle etichette: Giorgio Manganelli

Sogni morbosi


Nulla è più mortificante che vedere narratori, per altro non del tutto negati agli splendori della menzogna, indulgere ai sogni morbosi di una trascrizione del reale, sia essa documentaria, educativa o patetica. Essi ignorano o trascurano il fatto che l’ingegnere mondano, l’attrice lasciva, e l’affranta prostituta, che essi evocano con le loro dimidiate formule, sono non meno impossibili di quell’uccello di Rukh che, secondo la veridica relazione del marinaio Sinbald, nutriva i suoi piccoli di elefanti. Sebbene siano costretti a mentire, come vogliono le punitive leggi delle lettere, lo fanno con angustiosa cattiva coscienza, palesemente soffrendo sotto la coazione della frode, e inefficacemente nascondono l’autentico nocciolo di menzogne sotto un velo di fittizia verosimiglianza.

 

Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi 1985

 

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©Dirk Braeckman,  27.1 / 21.7 / 026 / 2014

Un luogo sacro


A  I suoi edifici danno una impressione straordinaria di vita, mi perdoni, sregolata, sconcia…

B Lei trova che, mettiamo, i miei balconi erano peccaminosi? Mi rallegra, molto, sa? Che quelle guglie erano… Erano, diciamo, di malaffare? Ho costruito una chiesa puttana, lo sa?

A Credo di conoscerla.

B Ed è così pia, sapesse; bisognava colmare di peccato un luogo sacro per essere assolutamente certi che il luogo fosse irreparabilmente sacro… Ci voleva sporcizia, ambiguità, l’ammiccamento di un occhio strabico e vizioso, un odore pietrificato di vino, bisognava aprire degli angiporti in una chiesa, farne una chiesa a ore, un luogo equivoco, perché se ne sarà accorto, nevvero, una chiesa è un luogo estremamente equivoco, tutti quei peccatori, quei peccatori attivi, si capisce, e tutta quella voglia di morte, quel grondare di sangue, per le pareti… Nemmeno un bordello per alcolizzati è così assolutamente empio e dunque sacro. O lei dirà che io ero casto, ero devoto, vero?

A No, non ho mai detto nulla di così volgare.

B Me ne rallegro. Ho fornicato con le pietre, è ovvio; ma non è forse così ovvio che le pietre erano le mie sgualdrine, le mie garçonnières… Che differenza intercorre tra una giarrettiera e una architrave? Dopo tutto, sono entrambe di carne.

Giorgio Manganelli, Gaudí, in Le interviste impossibili, Adelphi, Milano 1997

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©Lisa Kereszi, Erotic Empire at night, Hartford CT, 2001

Patate lesse e riso in bianco


69. Foto diabolica di mio padre. A Bologna non ha preso l’insegnamento al Dams perché a Bologna si mangia male, diceva, è un posto di patate lesse e riso in bianco. Era stato chiamato al Dams con i buoni auspici di Luciano Anceschi, a cui scrive, poverino: «grazie, ma non ce la faccio, non ce la faccio proprio, non posso, non chiedermi questo, si mangia troppo male». E gli scrive poi anche in un’altra lettera: «e tu, voglioso gourmet, ti stai ancora strafogando di patate lesse e di riso in bianco?». Come per dire: mangiati tu ‘sta roba.

Album fotografico di Giorgio Manganelli. Racconto biografico di Lietta Manganelli, a cura di Ermanno Cavazzoni, Macerata, Quodlibet 2010

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© Candida Höfer, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio a Bologna III, 2006