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La politica


 La politica è una prassi orientata dalla forza e dalla possibilità dell’uso della coazione. Ma essere uomini implica l’autolimitazione della forza attraverso la legge, il diritto e il contratto. Dove la forza non ammette alcuna limitazione, non resta che opporvisi mediante l’impiego altrettanto incondizionato delle proprie forze. Combattere contro i draghi senza diventarlo noi stessi e senza perdere la forza di dominarli: tale è il problema destinale dell’umanità odierna.

La politica è divenuta per molti uomini un assoluto. Quando essi sono spinti dalla passione per il potere, si giustificano ai propri occhi solo se appartengono a una grande forza, e rispettano gli altri solo in base alla forza che hanno alle spalle. Tutto il resto è chiacchiera. Il linguaggio è per tali uomini essenzialmente un mezzo per ottenere o confermare il potere sugli altri, il loro pensiero è capzioso, sofistico, anch’esso soltanto uno strumento funzionale alla lotta per il potere. Il loro slancio vitale è legato fin nei gesti e nell’intonazione della voce alla coscienza del potere.

Karl Jaspers, Per un nuovo umanesimo: condizioni e possibilità, in Etica e destino, testi di Martin Heidegger, Karl Jaspers,  Genova, Il nuovo melangolo 1997

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©Maurizio Cattelan, Him, 2001

I fattori che intralciano la critica d’arte


Sono numerosi i fattori che intralciano la critica d’arte. Non essendo richiesti dai musei, né tollerati dal mercato, alcuni critici si sono ritirati nelle università, mentre altri si sono inseriti nell’industria culturale, nei media, nella moda e così via. Non si tratta di un giudizio morale: anche se ci limitiamo al periodo preso in analisi in questo libro, i pochi spazi una volta riservati alla critica d’arte risultano drammaticamente ridotti, e i critici hanno seguito le orme degli artisti  costretti a barattare l’attività critica con la sopravvivenza economica. Questo doppio riposizionamento non ha giovato: se alcuni artisti hanno abbandonato l’attività critica, altri hanno adottato posizioni teoriche come se fossero critici “readymade”, così come certi teorici che hanno ingenuamente abbracciato posizioni artistiche. Se da una parte gli artisti speravano di essere elevati dalla teoria, i teorici speravano di toccare terra grazie all’arte. Spesso queste due scelte implicavano due errori di valutazione: che l’arte non fosse già abbastanza teorica, che non producesse posizioni critiche, e che la teoria fosse semplice integrazione da applicare o meno a seconda dei casi. Il risultato è che a livello formale ci sono poche differenze, ad esempio, tra le descrizioni delle estetiche mercantili nell’arte della fine degli anni Ottanta e quelle delle politiche di genere all’inizio degli anni Novanta. E spesso questi fraintendimenti, credere che l’arte non sia a suo modo teorica e/o politica, o che la teoria sia ornamentale ed estranea alla politica, mettono fuori gioco l’arte teorica e politica.

Hal Foster, Il ritorno del reale. L’avanguardia alla fine del Novecento, Milano, Postmedia 2006, pp. 13-14

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©Maurizio Cattelan, A perfect day, 1999