Sono numerosi i fattori che intralciano la critica d’arte. Non essendo richiesti dai musei, né tollerati dal mercato, alcuni critici si sono ritirati nelle università, mentre altri si sono inseriti nell’industria culturale, nei media, nella moda e così via. Non si tratta di un giudizio morale: anche se ci limitiamo al periodo preso in analisi in questo libro, i pochi spazi una volta riservati alla critica d’arte risultano drammaticamente ridotti, e i critici hanno seguito le orme degli artisti costretti a barattare l’attività critica con la sopravvivenza economica. Questo doppio riposizionamento non ha giovato: se alcuni artisti hanno abbandonato l’attività critica, altri hanno adottato posizioni teoriche come se fossero critici “readymade”, così come certi teorici che hanno ingenuamente abbracciato posizioni artistiche. Se da una parte gli artisti speravano di essere elevati dalla teoria, i teorici speravano di toccare terra grazie all’arte. Spesso queste due scelte implicavano due errori di valutazione: che l’arte non fosse già abbastanza teorica, che non producesse posizioni critiche, e che la teoria fosse semplice integrazione da applicare o meno a seconda dei casi. Il risultato è che a livello formale ci sono poche differenze, ad esempio, tra le descrizioni delle estetiche mercantili nell’arte della fine degli anni Ottanta e quelle delle politiche di genere all’inizio degli anni Novanta. E spesso questi fraintendimenti, credere che l’arte non sia a suo modo teorica e/o politica, o che la teoria sia ornamentale ed estranea alla politica, mettono fuori gioco l’arte teorica e politica.
Hal Foster, Il ritorno del reale. L’avanguardia alla fine del Novecento, Milano, Postmedia 2006, pp. 13-14
©Maurizio Cattelan, A perfect day, 1999